domenica 30 marzo 2014

Eroi & Mentori

Alcune fotografie del workshop 
tenutosi alla Scuola Comics di Firenze

fotografie di EUGENIO CHEN







giovedì 27 marzo 2014

ORONZO il gioielliere

scritta & illustrata da George Samaniego, Alessia Fusi, Matteo Nardelli, Anjing He, Jessica Shao, Elena Sun


Oronzo era un mercante che vendeva gioielli falsi nel suo negozio, nella sua cittadina natale, assieme al figlio Fabio.
Un giorno entrò nel suo negozio un cliente dall’aspetto nobile. L’uomo, dopo aver osservato i gioielli e il negozio, iniziò a chiedere con insistenza a Oronzo quale fosse la provenienza dei suoi gioielli, e se i suoi prodotti fossero autentici, rivelandogli che anche lui era un gioiellere.
Oronzo, che era un truffatore un po’ sprovveduto, senza pensarci troppo si avvicinò all’orecchio del cliente rivelandogli i suoi segreti; in quel momento venne ammanettato. Il nobile era in realtà un poliziotto, e dal momento che era entrato nel negozio aveva registrato ogni loro parola.


Fabio, preoccupato dell’assenza prolungata del padre, organizzò una squadra di ricerca per ritrovarlo. Scoprirono presto che si trovava in prigione. Fabio divise i suoi amici in due gruppi.
Mentre il primo gruppo distraeva i poliziotti inscenando rapine fasulle in tutta la città, l’altro gruppo entrò nella prigione. Si scontrarono con le guardie rimanenti e, arrivati alla cella di Oronzo, sfondarono la porta con dei martelli, riuscendo a liberarlo.
Fabio, con i soldi ricavati dalla vendita dei gioielli rimasti, si procurò un magnifico fenicottero. L’animale riuscì a portarli in volo su un’isola sperduta, lontano da tutti, per ricominciare una nuova vita.



[english version]
ORONZO the jeweler
 
Oronzo was a merchant who sold fake jewelry in his shop, in his hometown, together with his son Fabio.
One day a customer, really well dressed and with noble behaviour, came into his shop. The man, observing the jewelry, began to ask insistently Oronzo what was the origin of the jewels, and if his products were authentic; he told him that he was a jeweler too.
Oronzo, who was a crook a bit naive, without thinking too much came to the ear of the client revealing his secrets; after a second he was handcuffed. The “nobleman” was actually a cop, and since he was in the shop he had recorded their discussion.
Fabio, worried about the absence of his father, organized a research mission to find him. They soon discovered that he was in prison. Fabio divided his friends in two groups.


While the first group distracted the cops staging fake robberies throughout the city, the other group break into the prison. They clashed with the remaining guards and arrived at the Oronzo’s cell, and they broke down the door with huge hammers, managing to set him free.
Fabio, using the money raised from the sale of the jewels, acquired a magnificent flamingo. The animal was able to fly them away on an isolated island, far away from everyone, ready to start a new life

martedì 18 marzo 2014

17779-0

da un'idea collettiva di Alessio e Cristina Menghi, Pontoriero Claudia, 
Margareta Nemo, Alessandro Occhipinti e Micaela Pederzini

un racconto scritto & illustrato da Margareta Nemo 


Dopo un'intensa giornata di lavoro, Stephan il fabbro decise di fare una passeggiata nelle vie della città, per godersi gli ultimi raggi di sole e la brezza estiva, e forse andare dall'antiquario a comprare un nuovo fucile d'epoca per la sua collezione. Stava lasciando vagare vagare lo sguardo fra i balconi in legno traboccanti di piante, che salivano di piano in piano formando strane terrazze nello sfavillio del crepuscolo, quando si accorse di una certa agitazione fra i passanti attorno a lui. La causa di quell'agitazione pareva provenire da un individuo solitario, completamente vestito di bianco, fermo all'incrocio con un vicolo. Per quanto il suo abbigliamento e la sua peculiare forma fisica – asciutta, slanciata, impersonale – potessero apparire stravaganti, ciò che spaventava i passanti era il suo volto. O meglio, l'assenza del suo volto.
Lo sconosciuto aveva una testa ovale, perfettamente glabra, priva di naso, bocca e orecchie e priva dei naturali rilievi del volto umano. Al posto delle orecchie due piccoli imbuti metallici si addentravano direttamente nel cranio; al posto della bocca e delle narici un filtro cromato si apriva all'altezza delle corde vocali. Gli occhi erano due sfere pallide e prive di espressione, spalancate per l'assenza di palpebre. Incurante del terrore e del disgusto che ispirava ai passanti, l'essere senza volto cercava ostinatamente di attirare la loro attenzione con un monologo di gesti rapidi, precisi e del tutto incomprensibili.
Il fabbro lo vide e senza esitare si avvicinò, lo prese per un braccio e lo portò a casa sua.

L'essere senza volto non poteva parlare, ma quando il fabbro gli consegnò una manciata di fogli e una matita, iniziò a scrivere velocemente. Il suo nome era 17779-0 ed era fuggito dalla clinica di Sir Everald Emerald Upperton, il cardiologo. Il dottor Upperton si era ritirato già da molti anni in un'imponente costruzione sulla collina che sormontava la città. La chiamava “Clinica di Nuova Cardiologia” e si diceva che vi accogliesse solo alcuni pazienti accuratamente selezionati, sui quali faceva esperimenti terribili. La clinica era circondata da un immenso muro e nessuno era autorizzato a entrarvi, ma il fatto che il treno privato, che circa una volta al mese raggiungeva la piccola stazione alla base della collina, trasportasse sempre qualche persona all'arrivo, ma mai una alla partenza, pareva confermare le dicerie sul luogo. 
17779-0 era il primo abitante della clinica a essere fuggito. Scrisse che l'interno del complesso di edifici sulla collina era interamente abitato da esseri come lui, ad eccezione del cardiologo stesso, che aveva conservato le proprie fattezze umane. Gli esseri senza volto erano frutto di operazioni di perfezionamento, durante le quali più o meno ignari pazienti venivano ripuliti dei loro difetti psico-fisici. Quel che ne restava erano umanoidi privi di lineamenti, asessuati e omologati a uno standard ideale di peso e massa muscolare. Gli esseri senza volto, o “perfezionati” come li chiamava il cardiologo, non provavano paura, né altre emozioni, non erano in grado di soffrire o provare piacere e reagivano in maniera ottimale ed efficace a qualsiasi forma di stimolo sensoriale o intellettuale, grazie a una complessa struttura di recettori e ghiandole artificiali installati nei loro crani al posto delle principali strutture cerebrali. I “perfezionati” non mangiavano, non defecavano, non piangevano e non ridevano. L'assunzione di principi nutritivi e l'espulsione delle scorie avveniva in maniera meccanica, con l'aiuto di sonde e cateteri, direttamente collegati a complessi macchinari di rifornimento e depurazione, che occupavano svariate stanze della clinica. Il sonno era sostituito da check-up giornalieri della memoria a breve termine. Quando un perfezionato cessava di funzionare, cosa che generalmente capitava svariate volte al giorno, veniva riparato o riprogrammato. Quando non poteva essere riparato veniva disattivato.
17779-0 aveva deciso di fuggire perché non amava la vita in prigionia o per un difetto dovuto a una riprogrammazione incompleta, non ne era del tutto sicuro. Dovendo esprimere le sue supposizioni in percentuale, trovava ragionevole supporre che la sua fuga fosse dovuta per un 40% alla prima causa, per un 30% alla seconda e per la quota restante al ruolo che vi aveva giocato il suo vicino di stanza 17779-6.
17779-6 era diverso dagli altri perfezionati. Un po' più magro, aveva degli occhi leggermente incavati, che gli conferivano un'espressione infelice. Non amava stare da solo e nelle ore di pausa entrava spesso nella stanza di 17779-0 per raccontargli le poche cose che ricordava della sua vita precedente. Erano storie piuttosto noiose, principalmente sugli anni in cui aveva vissuto col padre prima che quello lo consegnasse al cardiologo, ed erano sempre le stesse. Ma dopo un po' 17779-0 cominciò a pensare che quelle storie noiose e il tempo che passavano assieme a rievocarle avessero più senso e più valore di tutte le ore spese in esercizi fisici, perfezionamenti, riprogrammazioni e meditazioni. Gli sembrava che fossero le uniche cose ad avere un senso.

Per questo aveva deciso che dovevano andarsene dalla clinica e scoprire come sarebbe stata la vita in libertà. Erano fuggiti insieme da una breccia nel muro di cinta, durante una delle partite a palla con cui i perfezionati si tenevano in forma due volte a giorno. 17779-0 aveva lanciato la palla giù per la discesa erbosa che portava fino al muro di cinta e poi si era lanciato alla sua rincorsa assieme all'amico. Sapevano che in quel punto c'era uno squarcio nel muro, nascosto dall'edera e dalla discesa ripida del pendio. 17779-0 si era infilato nel varco e avvertendo appena una moderata agitazione, era strisciato dall'altro lato e si era messo a correre giù per la collina. Solo dopo svariati metri si era voltato e si era reso conto che 17779-6 non era con lui. Era rimasto nella clinica. 


Doveva tornare a prenderlo ma non sapeva come.

Il cardiologo sedeva nell'alta poltrona bianca del suo immenso studio privato e fissava il vuoto. Dopo aver finito di leggere la lettera con cui il fabbro lo informava di aver dato ospitalità a una sua creatura, aveva provato un gran sollievo, immediatamente seguito dal sospetto. Che proprio il fabbro gli comunicasse una cosa del genere e lo invitasse con un tono quasi servile a venire per riprendersi il fuggiasco, gli parve poco credibile. Per sicurezza, decise quindi di portare con sé 17779-6 e altri due perfezionati che gli facessero da guardia.
Quando varcò la piccola porta di legno della casa del fabbro, ebbe conferma dei suoi sospetti. Sprofondato in una grossa poltrona scura, invecchiato e decrepito, il fabbro lo squadrava cercando di dissimulare il suo odio. Nella stanza, tappezzata di attrezzi e armi arrugginite, la grossa figura del cardiologo, col camice immacolato e le gote rosse, spiccava fastidiosamente. I due si osservarono per un poco, finché il fabbro disse:
- Mi dispiace, se n'è andato.
- Immaginavo - rispose il cardiologo, con un sorriso scaltro. Poi, passando un braccio attorno alla vita di 17779-6, aggiunse - guarda chi ti ho portato! Lo riconosci?
Il fabbro non disse niente. 17779-6 non lo guardava. I suoi occhi inespressivi scrutavano il vuoto, come se avesse intuito che da qualche parte nel buio della stanza era nascosto il suo amico con un fucile, pronto a sparare al cardiologo. 17779-0, nascosto dietro un mobile, con l'arma puntata, non ebbe il coraggio di premere il grilletto, per paura di colpirli entrambi. E così il cardiologo se ne andò con la sua scorta, lasciando il fabbro in lacrime sulla poltrona. 

Il fabbro aveva lavorato per molti anni come tuttofare alle dipendenze del cardiologo e ne aveva ammirato il genio e la maestria. Provava un'adorazione religiosa per l'immensa clinica sulla collina, con i suoi edifici di vetro e i lunghi corridoi bianchi stipati di macchinari misteriosi, ed era fiero di lavorarci. Quando il cardiologo aveva iniziato i suoi esperimenti di perfezionamento e tutta la comunità scientifica lo aveva abbandonato in un silenzio imbarazzato, mentre gli assistenti e dipendenti, uno dopo l'altro, si licenziavano e abbandonavano i laboratori, il fabbro gli era rimasto fedele e lo aveva appoggiato nel suo progetto. Lo aveva sostenuto con tale ardore che gli aveva consegnato il suo unico figlio, perché lo perfezionasse. Il fabbro amava suo figlio, ma non sopportava l'idea di aver cresciuto un essere cagionevole, i cui pregi erano irrimediabilmente tarpati da un corpo debole e da una sensibilità morbosa, che lo portava a interessarsi di qualsiasi cosa, tranne delle poche cose utili che il fabbro si sforzava di inculcargli. Gli esperimenti del cardiologo gli sembravano l'unica possibilità per salvarlo.
Ma quando, dopo diverse settimane di interventi di adattamento, il cardiologo gli presentò 17779-6, si rese conto con dolore che quello non era più suo figlio e, ultimo fra i dipendenti, lasciò la clinica per non mettervi mai più piede. Rivedere il figlio nella sua officina, privo di volto e quasi incapace di riconoscerlo, gli aveva spezzato il cuore una seconda volta. Decise che il cardiologo doveva morire.

Il cardiologo, da parte sua, certo che il fabbro lo avesse ingannato e nascondesse ancora 17779-0 nella sua casa, si preparò per tornare con una scorta durante la notte, coglierlo di sorpresa e riprendersi quel che era suo. Quando raggiunse di nuovo la casa del fabbro, la trovò vuota e cieco di rabbia ordinò ai suoi perfezionati di bruciare tutto.
Il fabbro e 17779-0 non poterono vedere le fiamme che si alzavano dall'officina, perché si erano già intrufolati nella clinica, stavolta passando dall'ingresso principale, che il fabbro aveva aperto agilmente con un mazzo di chiavi apposito. Una volta entrati nell'edificio, quando videro che il cardiologo non c'era, 17779-0 corse a cercare il vicino nella sua stanza. Il fabbro, invece, andò a cercare l'impianto elettrico.

Il cardiologo un tempo era stato un ottimo medico. A soli ventisei anni aveva già effettuato tanti interventi di successo, che le liste d'attesa per il ricovero nella sua clinica coprivano svariati anni e la maggior parte degli aspiranti pazienti morivano sereni, nell'attesa di potersi consegnare nelle sue mani.
Se c'era una caratteristica del cardiologo capace di mettere in ombra il suo talento e la sua bravura, era la sua presunzione. Ritenendosi infallibile, accettava senza esitazione pazienti che chiunque avrebbe dato per spacciati e non si disturbava a rimanere in sala operatoria per giorni interi o a eseguire simultaneamente due o tre interventi diversi. I fatti gli davano ragione, non aveva mai perso un paziente.

Al cardiologo, che era una persona razionale, meticolosa e poco suscettibile a qualsiasi forma di emozione, capitò di innamorarsi. L'oggetto dei suoi sentimenti fu una donna straordinaria, e straordinariamente sfortunata. Gliela portarono mezza morta per un arresto cardiaco. Aveva partecipato a una notte di bevute e scommesse in una bettola della città, che si era conclusa con una sfida a chi riuscisse a mangiare più scorpioni vivi. Aveva vinto, ma il veleno degli scorpioni, assieme all'alcol, le aveva invaso il corpo e le aveva fatto scoppiare il cuore. Il cardiologo glielo ricucì pezzo per pezzo e dopo aver tenuto fra le mani per sei lunghe ore quel piccolo fagotto pulsante, e avergli lentamente restituito la sua forma e le sue funzioni, non volle più separarsi dalla sua opera, né dal contenitore.
Ma la donna, oltre ad essere straordinariamente sfortunata, aveva una straordinaria propensione per il pericolo, per l'alcol, per le scommesse e per gli amanti violenti.
Nel giro di pochi anni fu costretto ad operarla dodici volte, finché lei non si stancò delle sue premure e se ne andò. Il cardiologo fece di tutto per ritrovarla, alternando i ritmi massacranti del lavoro a complesse ricerche, svolte con ogni mezzo a sua disposizione. Alla fine riuscì a localizzarla in un lontano ospedale di contea, dove giaceva incosciente incatenata a dei macchinari, dopo una infelice relazione con una domatrice di tigri.
Il cardiologo per la prima volta nella vita dubitò dell'utilità del proprio lavoro. Si mise a cercare tutti gli altri pazienti che aveva operato negli anni. La maggior parte erano morti. Uno si era ammalato di un tumore e dopo aver implorato invano che lo si lasciasse morire, aveva ingoiato una provetta ed era soffocato. Due si erano schiantati con un deltaplano e altri due avevano dimenticato di prendere le medicine. Altri erano morti assiderati per essersi addormentati ubriachi in mezzo alla strada o si erano gettati da palazzi e sotto treni, per una delusione d'amore o per aver perso il lavoro. Fra i suoi ultimi pazienti, una ragazza era stata sequestrata da un pazzo omicida e torturata a morte.
Il cardiologo smise di dubitare dell'utilità del proprio lavoro e precipitò nell'orribile certezza della sua nocività. Se non avesse mai operato quelle persone, con la disgustosa presunzione di salvarle, sarebbero morte di una morte rapida e accettabile. Invece lui le aveva consegnate alle grinfie di un mondo crudele e della loro stessa stupidità.
Per la prima volta in anni bevve fino a ubriacarsi, poi pianse, poi bevve ancora e alla fine chiamò nel cuore della notte l'ospedale di contea e fece trasferire segretamente nella sua clinica la donna amata. Fece preparare la sala operatoria e vi si rinchiuse con lei per dieci giorni.
Il risultato di quei dieci giorni lo chiamò 17779-0. Il numero degli interventi cardiaci che aveva completato con successo fino ad allora (17.779) seguito da uno zero, a indicare l'inizio di una serie di esperimenti completamente diversi. 17779-0 si rivelò essere la sua opera più imperfetta, ma per ovvi motivi, quella a cui teneva di più.


L'idea di perderla  gli risultava tuttora intollerabile e quella notte, dopo aver bruciato la casa del fabbro, scalò la collina a passo di marcia, soffocato dall'odio.

17779-0 nel frattempo aveva trovato il vicino nella sua stanza. Quando i due si rividero avvertirono un brivido impercettibile, qualcosa di simile a quella che un tempo doveva essere stata la felicità. Si abbracciarono e 17779-0 cominciò a spiegare a gesti rapidi la situazione. Disse all'amico che dovevano fuggire immediatamente, che il cardiologo non c'era e che dovevano solo aspettare che il fabbro li raggiungesse per andarsene assieme. Quando 17779-6 sentì nominare suo padre, le pupille gli si rimpicciolirono bruscamente.

Nel frattempo il cardiologo era tornato nella clinica. Sbatté dietro di sé la porta dello studio, gettò il cappotto sulla scrivania e trovò con orrore il fabbro seduto sulla sua poltrona.
- Non uscirai vivo di qui! - ringhiò.
- Lo so - rispose il fabbro – E neanche tu. Ho piazzato degli esplosivi nell'impianto elettrico. Salteremo per aria tutti assieme.
- Salterà per aria anche tuo figlio! - disse il cardiologo.
- Quello non è più mio figlio - sentenziò il fabbro.

Un istante dopo la clinica sulla collina esplose in una gigantesca palla di fuoco, che illuminò il cielo per miglia e miglia di distanza. Mentre gli abitanti della città correvano a osservare esterrefatti l'incendio sulla collina, di cui avrebbero parlato ancora per molti anni, due figure solitarie si allontanavano in fretta nell'oscurità. 17779-0 e 17779-6 erano riusciti a fuggire dalla breccia nel muro pochi istanti prima del boato. Adesso camminavano mano nella mano sulla strada, senza sapere se e come avrebbero vissuto, e senza preoccuparsene.

venerdì 14 marzo 2014

lo SPAZZINO SPAZIALE

scritta & illustrata da Haiqin Zheng, Cristina Dong, Sara Tamai, Tommaso Ciulli, Alessio Bandini, Davide Sani


C’era una volta uno spazzino di nome Luca. Era molto buono e perdutamente innamorato di una ragazza di nome Sara. Tutti i giorni puliva a fondo una lunga strada che portava al castello del perfido conte Ciulessio, un mago potentissimo che incuteva paura a tutti. Un giorno Ciulessio vide Sara e ne fu attratto per cui decise di rapirla e di sostituirla con una bambola perfettamente identica a lei. 

 

La finta Sara ingannò tutti, ma non Luca che amava Sara di un amore profondo e per tale ragione non cadde nel tranello e decise di seguire il mago fino al castello e qui, con angoscia, scoprì che Sara era rinchiusa ed era sua prigioniera. 



Luca, disperato, cercò una soluzione e si ricordò che nel bosco c’era un maialino di nome Zhu capace di far volare gli oggetti e di annientare i poteri dei maghi ma solo se fosse riuscito a capire il loro punto debole. Ma qual era il punto debole di Ciulessio?


Luca era disperato, non sapeva cosa fare, doveva cercare il maialino, scoprire il punto debole del mago e… Era stanchissimo e si addormentò. Gli apparve però in sogno un suo vecchio zio saggio di nome Ping che era morto in un duello con il mago Ciulessio.
- Ciao, Luca, sono tuo zio Ping
- Zio, sono disperato, devo riprendermi la mia Sara, l’ha rapita il mago Ciulessio
-Sta molto attento, Luca, ce la puoi fare, ma ti occorre l’aiuto del maialino Zhu
- Ma dove posso trovarlo?
- Va nel bosco e segui le sue orme...
Dopo poco Luca si svegliò e cercò di seguire i consigli dello zio Ping. Vide le orme del maialino, lo trovò e decisero di andare a sconfiggere il perfido mago Ciulessio. Ma come facevano ad entrare nel castello? 



Ci pensarono un po’ e poi all’ora di pranzo Luca si travestì da cameriere e mise su uno splendido piatto di portata il maialino Zhu che finse di essere una porchetta. Erano agitatissimi ma riuscirono a mantenere la calma ed entrarono nel castello. Zhu scese dallo scomodo piatto e insieme andarono a cercare Ciulessio. Dopo aver girato varie stanze lo trovarono in camera da letto. 


Si guardava allo specchio e si toccava la gola. I nostri cari amici capirono subito che si trattava del suo punto debole e decisero di giocare d’astuzia. Luca entrò nella stanza, si presentò come un noto cantante e gli propose una gara al karaoke. Cantarono a squarciagola cinquanta canzoni e quando Zhu notò che la gola di Ciulessio era diventata rossa, lo toccò proprio all’ugola e il mago, all’improvviso, si gonfiò e scoppiò.
Il nostro eroe e il suo amico maialino  trovarono Sara e la portarono via volando sulla scopa magica.




E la bambola?
Si sgonfiò come il mago che l’aveva creata.




martedì 4 marzo 2014

FACES!


alcuni ritratti eseguiti dai ragazzi e ragazze dell'Istituto Sassetti-Peruzzi

a few portraits made by the guys & girls from Sassetti-Peruzzi High School

HEROES!


Una selezione di personaggi creati dai ragazzi dell'Istituto Sassetti-Peruzzi di Firenze

a selection of characters created by the guys from Sassetti-Peruzzi High School in Florence

WELCOME!

http://www.u-care.org/home 
presents

Hi! Welcome to the T.A.L.E. project blog, where you can see the develop of an international project about storytelling and sharing experiences. Keep reading to know what we're doing:

T.A.L.E
tell another learn eachother

We live in stories. They’re fun, dramatic, fantastic, miserable, personal, folkloristic, and – as long as someone is telling his tale – true. We accept the possibilities of every story, and we have one too, it makes us the heroes of our personal journeys.
Share stories is the way a person starts knowing another person, it is the way to accept the subjective difference between everyone. Revealing our stories is the simpliest way to end prejudices, to break stereotypes, to find our implied transculture.

The workshop focus on the link between folkloristic and personal narratives: through a process of deconstruction and reconstruction it is possible to create a modern tale where people can recognize themselves and understand the others as part of the same story.


WHAT

The aim is to create a modern tale, and also to make the people involved show their collective story through a recorded performance or a stop-motion animation. All the short movies will be collected in a blog and a youtube channel, allowing all the partecipants – and the rest of the world – to see the results of a possible worldwide new folktale.

 
INTERNATIONAL

This workshop is really flexible for all the countries involved and also for the subjective abilities of the coaches and the people they will meet. Internet can help connecting the groups from all over Europe and sharing not just the results, but the entire work in progress and also the folktales from the people involved.


SUSTEINABILITY

The aim of the project is NOT to create an epic movie, but to share stories. Digital cameras, computers and freeware softwares are now common elements of our society – using them creatively is the goal. The groups, even choosing to use paper, paint, clay or “mixed media” - can find this cheap materials easily.


SO...

We hope you'll enjoy this blog!


TALE project supported by: